Centrocampo e difesa da brivido, le due punte non possono bastare
Il Genoa, sinora, ha giocato un calcio accettabile per mezza gara con l'Empoli neopromosso e una ventina di minuti a Reggio Emilia, prima di imbarcare gol come piovesse. Col Bologna ha vinto grazie ad una prodezza personale di Piatek e all'Olimpico è ripiombata all'inferno.
Sei punti in graduatoria significano mezza classifica, e se i rossoblù sapranno sfruttare a dovere i prossimi due impegni – a Marassi col derelitto Chievo e a Frosinone - approderanno persino in zona Europa. D'altronde, empolesi, felsinei (pur vittoriosi ieri sulla Roma nell'ultimo turno), scaligeri e ciociari rappresentano il peggio del peggio in questa serie A. Peccato che, esaurita la fase di calendario favorevole, il Grifo sia poi costretto ad affrontare quasi tutte formazioni superiori.
Inutile illudersi: la squadra attuale, chiaramente indebolita sull'ultimo mercato estivo ad onta dei riuscitissimi acquisti del fenomenale Piatek e di Kouame, non rischierà probabilmente la B, ma a fine stagione, se il Prez non interverrà pesantemente a gennaio, si sarà messa alle spalle un esiguo pugno di compagini.
Nove gol beccati in due trasferte non sono frutto di casualità, ma la conseguenza amara e preoccupante delle carenze di un organico scarso a centrocampo e impresentabile nella sua linea mediana. A Roma il Genoa è naufragato nella sua espressione collettiva e ancor più a livello individuale. La distrazione di Zukanovic, lasciatosi sfuggire Calcedo in occasione del primo gol è imperdonabile al pari dell'esitazione di Bessa sul raddoppio laziale. Il tris capitolino chiama in causa Criscito, colpevole di non aver minimamente ostacolato nello stacco il gigante Milinkovic Savic, e forse anche Marchetti, che non ha neppure tentato la parata. Il quarto dispiacere è giunto a gara abbondantemente archiviata e non fa testo.
I tifosi più superficiali si chiederanno come abbia potuto trasformarsi la difesa a prova di bomba ammirata lo scorso anno in una banda del buco. Partiamo rimarcando le costanti ambasce provate da uno Spolli ormai approdato al viale del tramonto, gli stenti di uno Zukanovic involuto, le amnesie di un Criscito che in uno schieramento a cinque denuncia certi limiti. Aggiungiamoci l'insicurezza trasmessa ai compagni dal portiere Marchetti e qui un altro interrogativo affiora: non era forse meglio che l'arrugginito ex laziale fungesse da chioccia per il giovane Radu, prospetto dalle notevoli potenzialità?
Infine, denunciamo il problema dei problemi: la labilità di un centrocampo leggero in fase di filtro e inadeguato nella costruzione. Concedere le chiavi del gioco a Bessa è stato un suicidio, ma anche Hiljemark e Romulo hanno contribuito fattivamente allo sfacelo. Così si aspetta Sandro come il messia: non quello ancora fuori condizione visto all'opera in uno spezzone della gara romana, ma quello – sperabilmente più tonico e veloce – che scenderà in campo dopo la sosta ottobrina. Se il suo apporto dovesse rivelarsi insufficiente, sarebbero guai grossi.
Nell'attesa, crescono le... vedove di Veloso e soprattutto Bertolacci, discussi finchè si vuole quando indossavano il rossoblù: oggi, pur con le loro annose carenze, sarebbero titolari inamovibili. Frattanto, è pure lecito chiedersi dove siano finiti Lakicevic, teorico rinforzo di fascia destra, e Rolon, che almeno è un mediano di ruolo: per ora Ballardini li ha relegati in panca, e se ha deciso così, avrà avuto le sue ragioni. L'ennesima conferma che la dirigenza, invece di puntare ancora su una rosa pletorica, avrebbe dovuto privilegiare la qualità alla quantità nei rinforzi.
Consoliamoci con i due là davanti: loro sì che dimostrano di saperci gare. Piatek è un fenomeno per precisione e cinismo in zona gol: gli basta una mezza palla sporca per trasformarla in oro colato. Il suo boom è la conferma che se si spende qualche milioncino per un giovane di fulgide speranze, l'investimento frutta a tempi brevi per la squadra e un più lunghi per le casse societarie.
Anche sull'ivoriano la società ha visto giusto: forse negli spazi stretti soffre lievemente, ma in campo largo è un'ira di Dio, e farà bene il mister ad insistere su di lui invece di fargli trascorrere interi primi tempi a bordo campo.
Ultimo quesito: come mai il patron rossoblù (bravissimo a scovare anche Favilli, altro attaccante promettente) per gli altri ruoli si è affidato quasi esclusivamente o a vecchie glorie ormai prossime al capolinea o a giocatori sì di valore ma reduci da gravi infortuni che ne condizionano il rendimento? La solita politica della lesina che si riflette in una squadra in là con gli anni e straricca di acciacchi.
Pierluigi Gambino
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