Non bastano Messias e Malinovskyi, al Genoa occorrono altri rinforzi
Il Genoa ha subito assaggiato il pane durissimo della serie A, ben più indigesto rispetto alle prelibatezze cui si era abituata tra i cadetti. Che la Viola avesse ben altri ottani nel motore era previsto, ma neppure il tifoso più pessimista aveva messo in conto un primo tempo dei suoi ragazzi così scombicchierato e vuoto di contenuto.
Dopo 11 minuti la partita era già in ghiacciaia. Merito di una Fiorentina subito in partita ma soprattutto colpa di un Grifone in affanno, distratto, sconclusionato, mal piazzato. La rete di apertura ha visto la compartecipazione di Hefti, Biraschi, Bani e del portiere Martinez, che sei minuti più tardi ripeterà la prodezza all'incontrario tuffandosi in ritardo su un tiraccio comunque non imparabile. Il tris, verso l'intervallo, è stato propiziato da una dormita di tutti i difensori genoani, statue di sale sul corner sfruttato di testa da Gonzalez.
Gilardino aveva gli uomini quasi contati, ma deve ugualmente spiegare come mai abbia escluso Vasquez (maiuscolo contro il Modena) a pro di Biraschi (cui la serie A sta oltremodo larga), con Dragusin tornato a sinistra. Intendiamoci, col messicano la musica non sarebbe stata assai più soave, ma quest'insistenza sul calciatore romano pare autolesionistica,
Al di là delle lacune individuali, comunque, c'era solo una squadra in campo. Italiano, mister toscano, si è limitato a schermare Badelj, la sola fonte di gioco del Genoa, con Bonaventura e nelle file locali è subito calato il buio. Gli altri due centrocampisti, Thorsby e Frendrup, nulla più che mediani di rottura, come avrebbero potuto illuminare la manovra? Se a ciò aggiungiamo i limiti emersi sulle fasce, dove Hefti ansimava e Martinez ribadiva certe difficoltà di ordine tattico, ecco che il Grifo si è trovato prigioniero non solo della schiacciante superiorità avversari ma anche della sua pochezza. Risultato? Ogni pallone recuperato con estrema fatica veniva lavorato con improbabili lanci lunghi verso le punte: mai una volta che la manovra si sviluppasse rasoterra, come la massima serie richiederebbe.
Inutile disporre del folletto Gudmundsson e di un bomber di vaglia come Retegui. Il primo rinculava nella propria metà campo per toccare qualche palla vagante e l'italo-argentino, isolato in avanscoperta, assisteva al monologo viola con smorfie di disappunto: altro che giocarsi chances importanti in ottica azzurra. Il solo servizio decente che gli è giunto (ma nel finale di gara, sul 4-1) è stato sfruttato con un'imperiosa zuccata assorbita a fatica dal portiere ospite.
La ripresa, sullo 0-3 ha visto un Genoa più propositivo e, perlomeno, capace di una reazione decorosa, ma il poker al passivo è ugualmente maturato, prima che l'apprezzabile segnatura di Biraschi permettesse di salvare l'onore. Ma il match era da lunga pezza agli archivi e gli avversari avevano spostato la propria mente sull'imminente Conference League.
Colpa del Gila? No, degli uomini che gli sono stati messi a disposizione. In specie i cosiddetti rincalzi, inadeguati alla categoria. Il trainer merita non una ma mille attenuanti, a cominciare dalle assenze di Vogliacco, Strootman, Malinovskyi e Messias, ma nei prossimi giorni dovrà farsi sentire con maggiore decisione dalla dirigenza. Anche a ranghi completi quest'organico resta deboluccio. Le fasce sono da ricostruire e la difesa manca almeno di uno specialista di piede mancino. Ma è a centrocampo che sono emerse voragini: improbabile che Messias e Malinovskyi possano colmarle. Occorrono un altro regista ed una mezzala “coast to coast” di qualità, oltre all'auspicabile cambio di modulo. Basta con la “tre” difensiva: i prossimi appuntamenti, pressoché proibitivi, dovranno servire ad introdurre il 4-3-1-2 o il 4-2-3-1. E in questo caso, un bel po' di quei giocatori dimostratisi non all'altezza della categoria dovranno finire stabilmente in panca o addirittura fare le valigie.
PIERLUIGI GAMBINO