Serve una radicale metamorfosi per la vittoria più imbarazzante
“Abbiamo ancora una partita per conquistare quella salvezza che meritiamo”. Parole e musica di Davide Nicola, che evidentemente non reputa fuori luogo parlare di meriti o demeriti appena dopo che la sua squadra, autentica Armata Brancaleone, ha incassato cinque schiaffoni dal Sassuolo: e potevano essere il doppio. Non ci sono aggettivi per descrivere compiutamente lo zero assoluto messo in mostra dal Genoa a Reggio Emilia, e la forma smagliante che caratterizza gran parte dei calciatori nero-verdi non può essere una giustificazione plausibile. Come può il tecnico genoano asserire che il Lecce demerita di più la permanenza in A? I leccesi sono modestissimi in ogni settore, a livello di carriera sfigurano certamente al cospetto dei blasonati Grifoni, ma anche nei match persi hanno sempre profuso ardore, abnegazione, volontà, attaccamento ai colori. Tutte doti morali che i rossoblù né nella Torino Granata né – tantomeno – in Emilia hanno fatto anche lontanamente balenare.
Perdere si può da una squadra più forte, ma non in modo così rovinoso, restando dal primo al novantesimo in balia degli avversari, cui sono state concesse vagonate di palle-gol.
Didascalico sul tema il primo gol subìto: ci può stare che un difensore (nello specifico Masiello) svirgoli un rinvio, ma come si può lasciare sguarnito in quel modo il secondo palo, senza che Biraschi, il terzino di zona, e Jagiello, laterale destro si peritino di ostacolare Traorè? In quel momento, in area genoana c'erano forse più attaccanti neroverdi che difensori: un'assurdità, la prima di una lunghissima serie.
Forse il solo Pandev ha accarezzato la sufficienza, più che altro per l'impegno, ma neppure lui quanto ad efficacia ha offerto una prestazione felice. Tutti i suoi compagni meriterebbero un “quattro”, ad essere generosi.
Come spiegare lo spirito con il quale i rossoblù sono scesi in campo? Saranno anche stanchi per il tour de force di quest'intenso luglio, ma neppure gli avversari provengono da settimane riposanti. Solo in una certa chiave si può spiegare quest'impasse così radicale: la consapevolezza che, di riffe o di riffe, la salvezza giungerà all'ultima giornata. Pericoloso però è illudersi che il Verona sbrachi completamente, soprattutto contando i numerosissimi ex rossoblù nelle sue file, compresi mister Juric e il genero del presidente Preziosi. Inevitabile un certo imbarazzo, che il Genoa avrebbe potuto cancellare pareggiando a Reggio e potendosi così accontentare di un punto nella sfida di epilogo.
Vero pure che in tema di benevolenze il Lecce deve starsene zitto: infatti, se il Bologna aveva compiuto appieno il proprio dovere di lealtà sportiva, l'Udinese si è prodigato per non spegnere la speranza del Lecce dapprima regalando un rigore evitabile con una bracciata nettissima in area e poi, nel finale, giocando alle “belle statuine” nell'ennesima incursione degli ospiti, da tempo padroni del campo.
In teoria, il Lecce deve ancora vincere in casa col Parma, ma se Genoa-Verona vede il Grifone favorito per più di un motivo, la sfida in terra salentina alimenta ancora minori dubbi.
Certo, per salvare la posizione nel massimo campionato e anche la faccia, Criscito e compagni sono tenuti ad inscenare una profonda metamorfosi, dettata magari dalla forza della disperazione. Obiettivo, magari a fatica, raggiungibile, pur considerando la confusione che sta regnando sovrana in un club si è andato a cercare tutti questi stenti con scelte e strategie pessime. Eloquente in proposito l'espulsione di Nicola a gara in corso per una frase... sconveniente partita da una bocca anonima. Possibile che non si sia pensato di sacrificare un qualunque tesserato pur di salvare dalla squalifica l'allenatore alla vigilia dei 90 minuti più spasmodici dell'anno?
Ci sarà tempo per gli annuali processi, che non caveranno un ragno dal buco. Per ora fermiamoci ala speranza che nonno Goran cavi dal personale cilindro l'ennesimo coniglio. Se non ci pensa lui...
PIERLUIGI GAMBINO