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GENOA, L'UOMO IN PIU' RICHIEDEVA BEN ALTRO CORAGGIO

di Radazione Genoa News 1893

Sin quando Roma-Genoa si è mantenuta su ritmi da mezza estate, i rossoblù hanno rimediato un figurone, rivelandosi addirittura più ficcanti degli strombazzati calciatori giallorossi. Per oltre un'ora, match assolutamente sotto controllo, con i rossoblù mai in angustie, robustissimi e tenaci in fase difensiva e capaci di tener palla a lungo, seppur nei pressi del portiere amico più che nella metà campo romanista. Forse, con un “quid” di qualità e di velocità in più, questa Roma priva di qualche titolare e forse un po' demotivata avrebbe corso seri rischi di capitolazione. Retegui, attesissimo al varco, ha sciupato nel primo tempo un suggerimento di Frendrup e nella ripresa, dopo un felice spunto personale, si è visto respingere una secca conclusione da un difensore.

I suoi compagni in zona gol non ha fatto meglio, ma già aver concesso le briciole ad elementi come Lukaku, Pellegrini e Paredes era appagante. D'altronde, che la fase difensiva sia il pezzo forte di questo Grifo lo sanno anche le pietre: non è facile per nessuno trovare il varco vincente nelle maglie di una retroguardia a prova di bomba. Purtroppo il Genoa all'Olimpico ha fatto 30 e non 31 per i consueti limiti in fase di impostazione e finalizzazione, ma per tre quarti abbondanti di gara il bilancio è stato confortante.

La diana è suonata appena mister De Rossi ha spedito in campo El Shaaravy e soprattutto Dybala: il messaggio ai suoi giocatori che non si scherzava più e la partita era da vincere. Improvvisamente, come una pazzesca scarica di adrenalina, la gara si è accesa e dopo un contropiede dei locali sventato da una paratona di Martinez su Lukaku, il match si è inclinato nettamente sul versante romanista.

Gilardino ha provato a rianimare il Grifo inserendo Gudmundsson e Thorsby, panchinari di lusso, per Ekuban e Strootman, subissato di applausi all'uscita dal campo dai suoi vecchi tifosi al suo passo d'addio.

Correva il 72', quando Paredes rispondeva con una plateale protesta ad un'ammonizione subita rimediando il secondo cartellino rosso. Un episodio che invece di spingere il Genoa verso l'impresa scatenava la rabbia dei padroni di casa. Improvvisamente, la Roma pareva in tredici e il Genoa in sette, tale era il dominio di una squadra in inferiorità numerica. E qui Gilardino avrebbe dovuto optare per la mossa tattica da tutti auspicata: il passaggio alla difesa a quattro per guadagnare un centrocampista o un attaccante, sfruttare la situazione e tenere lontano gli avversari dalla propria porta. Una mancanza di coraggio forse fatale: miracolo di Martinez su bordata di Angelino e nel prosieguo El Shaaravy ha telecomandato un cross dalla trequarti sul crapone di Lukaku, abile stavolta a prendere il tempo a De Winter, che in precedenza lo aveva controllato digntosamente. Uno a zero e addio speranze di spezzare un tabù lungo quanto l'intera esistenza della Lupa, nata nel 1942.

Nel finale, disperato assalto di un Grifone innervato dal vivace Vitinha e da Malinovsky (finalmente, la “quattro difensiva), autore di una staffilata dai venti metri che giustificava la presenza del portiere Svilar. Ma il tempo per rimediare era scarso e la gara era già sfuggita di mano. Chissà quanti rimpianti nella mente di Alberto Gilardino, che in mattinata aveva apposto l'agognata firma al contratto biennale che lo lega ancora al Grifone: un rinnovo strameritato, al di là degli errorucci contingenti. Eppoi, grazie al ko del Monza, l'undicesimo posto è rimasto nelle mani di Badelj e compagni. Sconfitta indolore, ma stavolta si poteva registrare ben altro epilogo.

                     PIERLUIGI GAMBINO